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  Sentenze secondo equità...ora appellabili!
 

Nuova appellabilità delle pronunce secondo equità emesse dal Giudice di Pace



L’art. 1 del D. Lgs. 40 del 2006, in vigore dal 2 marzo 2006, ottemperando a quanto previsto dalla Legge 80/2005, ha sostituito il terzo comma dell’art. 339 c.p.c. introducendo il principio che le sentenze del Giudice di Pace ora sono appellabili anche se pronunciate secondo equità per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.

Prima di tale modifica, le pronunce secondo equità non erano appellabili ma ricorribili esclusivamente per Cassazione.

La norma transitoria di cui all’art. 27 D.Lgs 40/2006 prevede inoltre che la disciplina è di immediata applicazione ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto (2 marzo 2006) e tuttavia, ai provvedimenti del giudice di pace pubblicati entro la data di entrata in vigore del decreto, si applica la disciplina previgente.

Non v’è chi non veda in questa disposizione se non la abrogazione di fatto del giudizio pronunciato secondo equità, almeno un forte ridimensionamento di tale giudizio, secondo le brevi osservazioni che seguono.

La norma di riferimento che abilita il Giudice di Pace a decidere secondo equità, è il secondo comma dell’art. 113 c.p.c.: Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 del codice civile.

Quindi, salvo il limite dei contratti conclusi su moduli o formulari con le modalità di cui all’art. 1342 c.c., il Giudice decide sempre secondo equità se la causa è inferiore al valore di 1100 euro. La presunzione di pronuncia secondo equità è ribadita da Cass. civ., Sez. III, 25/02/2005, n.4079: Le sentenze del giudice di pace rese in controversie di valore non superiore a euro 1100 sono da considerare sempre pronunciate secondo equità per testuale disposizione normativa anche se il giudicante abbia applicato una norma di legge ritenuta corrispondente all'equità, ovvero abbia espressamente menzionato norme di diritto senza alcun riferimento all'equità, dovendosi, in tale ultima ipotesi, presumere implicita la corrispondenza, "sic et simpliciter", della norma giuridica applicata alla regola di equità. Ne consegue che la sentenza del giudice di pace, pronunciata a norma del citato art. 113, comma secondo, cod. proc. civ., non è impugnabile con ricorso per cassazione per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. sotto il profilo che il giudicante avrebbe fatto applicazione di una norma di legge non invocata dalla controparte.

Tale assunto, introdotto dal D.L. 8 febbraio 2003, n. 18, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 7 aprile 2003, n. 63, è stato oggetto di attenzione da parte della Corte Costituzionale che, con sentenza 206/2004 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 113, comma 2, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia”

Il Giudice delle Leggi aggiunge che “il giudizio di equità, in sostanza, non è e non può essere un giudizio extra-giuridico, poiché una equità priva dei limiti normativi insidia alla base la certezza delle relazioni giuridiche, con la conseguenza della ricorribilità per cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., delle sentenze per violazione dei suddetti principi

In pratica, il Giudice di Pace, nel decidere secondo equità, non può discostarsi dalle norme giuridiche che si occupano del caso concreto, né può prescindere dal principio iura novit curia. Farà quindi riferimento anzitutto alla esistenza o meno di riserve di Legge o regolamenti, e al rispetto di norme costituzionali o comunitarie. La giurisprudenza tra l’altro è stata costante nell’affermare che l’equità del Giudice di Pace si riferisce alle norme sostanziali e mai processuali (ex multis Cass. civ., Sez. III, 08/07/2005, n.14454). La nuova appellabilità per violazione di norme sul procedimento introdotta dal D.Lgs. 40 si limita a recepire tale interpretazione giurisprudenziale.

D’altro canto, la pronuncia secondo diritto, anche in presenza di cause di valore inferiore a 1100 euro, era pacificamente ammessa nel caso di riunione di processi o nel caso di domanda riconvenzionale che eccedesse tale limite. Si è pacificamente ammesso, nel caso in cui siano proposte al Giudice di pace domanda principale di valore non eccedente i limiti (millecento Euro) previsti per la decisione secondo equità e domanda riconvenzionale, connessa con quella principale a norma dell'art. 36 c.p.c., la quale, pur rientrando nella competenza del Giudice di pace, superi il limite di valore fissato dalla legge per le pronunce di equità, che l'intero giudizio deve essere deciso secondo diritto, con la conseguenza che il mezzo di impugnazione della sentenza è, non già il ricorso per Cassazione, ma l'appello, a nulla rilevando che sulla domanda riconvenzionale sia stata emanata una pronuncia a contenuto meramente processuale che non abbia formato oggetto di impugnazione (Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 06/06/2005, n.11701)

Così come si sono ammessi mezzi diversi di impugnazione nel caso di separazione di processi o nel caso di domanda riconvenzionale non “connessa” alla causa principale: “Nel caso in cui siano proposte al giudice di pace una domanda principale che debba essere decisa secondo equità ai sensi dell'art. 113, secondo comma, cod. proc. civ., perchè di valore inferiore ai millecento euro, e una domanda riconvenzionale da decidere secondo diritto, in quanto di valore superiore, e il giudice di pace abbia escluso la connessione tra le due domande, le distinte ed autonome statuizioni su di esse sono soggette a diversi mezzi di impugnazione, e cioè la pronuncia sulla domanda principale (di equità) è soggetta a ricorso per cassazione e quella sulla riconvenzionale (di diritto) ad appello” (Cass. civ., Sez. I, 31/05/2005, n.11490)

L’esigenza pratica di “sottrarre” il più possibile al Giudice di Pace una sorta di “discrezionalità equitativa” nelle cause di valore inferiore ai 1100 euro, ha indotto prima la giurisprudenza di legittimità, poi quella costituzionale e poi il Legislatore a definire in termini il più possibile chiari gli spazi concessi al Giudice di Pace nel pronunciarsi secondo equità. Tali spazi, a modesto parere di chi scrive, oggi sono strettissimi se non inesistenti.

Rendendo appellabili infatti tutte le sentenze pronunciate secondo equità per violazione della Costituzione, del diritto comunitario, dei princìpi informatori dell’ordinamento e delle norme processuali, non deve tacersi l’obiettiva difficoltà di trovare sentenze che non saranno “appellabili” perché non violano tali norme, anche se pronunciate secondo equità. Una delle poche eccezioni che mi permetto di sottolineare, dovrebbe riferirsi ai giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative ex Legge 689/1981, per i quali espressamente non può applicarsi il giudizio di equità e che sono ricorribili esclusivamente per Cassazione.

In termini più semplici, la Costituzione, il diritto comunitario, i princìpi informatori dell’ordinamento e le norme processuali credo esauriscano quasi del tutto il panorama giuridico del diritto vivente entro i quali il Giudice di Pace possa pronunciare secondo equità !

Conseguentemente, potrebbe ben dirsi che “sono appellabili tutte le decisioni del Giudice di Pace, a nulla rilevando se sono pronunciate o meno secondo equità, tranne quelle di opposizione alle sanzioni amministrative”. Tale mia severa interpretazione è data anche dal fatto che non può adottarsi un giudizio “preventivo” sulla eventuale violazione che giustifica l’appello. In altri termini, l’appello sarà sempre possibile per il solo fatto di invocare la violazione di norme costituzionali, comunitarie, dell’ordinamento e processuali e ammesso che il Tribunale in composizione monocratica (che è il Giudice di Appello avverso le sentenze del Giudice di Pace) rigetti l’appello, quest’ultimo sarà a sua volta ricorribile per Cassazione secondo i princìpi generali, non essendovi altro rimedio o limitazione a che ciò accada.

Ovviamente le decisioni del Giudice di Pace saranno ricorribili per Cassazione immediatamente, quando rientrano tra quelle previste dall’art. 360 c.p.c.

Non ha più ragion d’essere, quindi, se non in residui e rarissimi casi, la pronuncia secondo equità ammessa per le cause inferiori al valore di 1100 euro perché la sua appellabilità per i casi ora previsti dal terzo comma dell’art. 339 c.p.c. di fatto annulla o comunque restringe fotemente la portata del secondo comma dell’art. 113 c.p.c.

Indirettamente, sembra peraltro non toccato dai limiti suddetti il contenuto dell’art. 114 c.p.c. che riguarda la pronuncia secondo equità, priva dei limiti imposti dall’ordinamento, quando è richiesta concordemente da entrambe le parti.

 
   

                                                          
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